Sul cibo : proverbi, le feste,filastrocche, medicina,sogni,magie, amuleti, ecc…

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PROVERBI, MODI DI DIRE E FILASTROCCHE

(Proverbi sul cibo)

> Quanno nun c’è più quélle, fanfanitti e caccaèlle.

Quando non c’è più niente, frutti di bosco e carrube.

Quando il cibo manca, ogni cosa scadente diventa utile.

> Lo mejo companaticu è la fame.

Il miglior companatico è la fame.

Quant’è buono il pane quando si ha fame!

> L’appetito e la fame non trovano mai cattivo il pane.

(Proverbio simile al precedente)

> Chi spizzica non digghjuna.

Chi spizzica non digiuna.

È sempre meglio mangiare quel poco che si ha, piuttosto che digiunare.

> Mejo che trippa crepa, che robba se spreca.

È meglio che la pancia crepi, che la roba si sprechi.

È preferibile mangiare a sazietà, piuttosto che il cibo si sprechi.

> ‘N’òu è ppocu, dui basta, tre so’ ttroppi, quattro guasta.

Un nuovo è poco, due bastano, tre sono troppi, quattro bastano.

Ogni cibo vuole la sua giusta dose.

> Con patate e cipolle dentro l’orto, mai di fame nessuno s’è morto.

Le patate e le cipolle sopperiscono alla scarsità del cibo.

> Grandioso invito, pranzo sguarnito; semplice invito, pranzo squisito.

Non sempre le apparenze la dicono giusta sul pasto che segue.

> L’ome drittu magna pocu, l’ome cojone magna gnente.

L’uomo furbo mangia poco, l’uomo sciocco mangia niente.

L’uomo intelligente mangia moderatamente ed ha riguardo per la propria salute, lo sciocco, non mangiando, se la pregiudica.

> Dello stomaco abbi cura, non gravarlo a dismisura.

Un invito a mangiare moderatamente.

>Magnà ‘n pannarone de robba.

Mangiare un crine di roba (mangiare abbondantemente).

> Magnà come ‘n porcu.

Mangiare come un maiale (mangiare molto e di tutto).

>Chi cià farina e léna, fa subbito cena.

Chi ha farina e legna, fa subito cena.

Basta la farina e la legna per fare un pasto frugale.

>Pare ‘n filone co’ la jònda!

Pare un filone (di pane) con l’aggiunta!

Dicesi per due persone, una grande ed una piccola, che stanno insieme.

>>Una volta usava comprare il pane a peso, per cui assieme al filone, il fornaio metteva un pezzo di pane per aggiustare il peso stesso.

> Quanno unu cià séte, tutte l’acque so’ bbone.

Quando uno ha sete, ogni acqua è buona.

Il bisogno fa accantonare molti desideri.

> Magnà pane e cipolla.

Mangiare pane e cipolla.

Dicesi per chi mangia poco o nulla.

> Chi cià li denti non cià lo pane, chi cià lo pane nun cià li denti.

Chi ha i denti non ha il pane, chi ha il pane non ha i denti.

Dicesi perché all’uomo manca sempre qualcosa per essere felice.

> Lo pane dell’andri è ccottu sette vorde, la più ddura è la mujica.

Il pane degli altri è cotto sette volte, la parte più dura è la mollica.

Chi è costretto a chiedere il pane ad altri, sa quanto è duro il chiedere.

> La fame è cattiva consigliera.

* > Quanno ‘n c’è-ppiù-qquélle, fanfanitti e-ccaccaèlle.

Quando non hai nulla da mangiare arrangiati con quello che trovi.

* > Pane ‘ffettato cu’ lu curtéllu ‘n arrempe mae lu budéllu.

A chi vuole saziarsi con il pane non conviene mai affettarlo.

> Acqua cotta, pane spreca e trippa abbotta.

L’acqua cotta spreca il pane e gonfia la pancia.

L’acqua cotta dà poco nutrimento.

> La pulenta nun è bbona si nun ce camìna sopre lu porcu.

La polenta non è buona se non ci cammina sopra il maiale.

La polenta è ottima se condita con carne di maiale.

>La ‘nzalata, poco acìtu e ben ojàta.

L’insalata, poco aceto e ben oliata.

L’insalata è buona con poco aceto e molto olio.

> Olio, aceto, pepe e sale, fanno buono ogni stivale.

È importante, per rendere buono il cibo, l’aggiunta di condimenti.

> La minestra senza sale no’ la magna manco lu cane.

La minestra senza sale non la mangia nemmeno il cane.

La minestra non deve essere insipida.

> Al contadino non devi far sapere, quant’è buono il formaggio con le pere.

Il formaggio e le pere, mangiate insieme, costituiscono una ghiottoneria.

> Da lu contadinu dije tuttu, ma nu’ je dì se quant’è bono lo fico col pruciuttu.

(proverbio simile al precedente)

> La robba de campagna è ‘n gran cojone chi no’ la magna.

A chiunque è permesso di assaggiare un frutto di campagna.

> Un contorno adatto, è l’onore del piatto.

Il contorno deve essere appropriato alla pietanza.

> Vino e mèle, doènta fèle.

Vino e miele, diventano fiele.

Non sempre due cose gustose possono essere consumate insieme, soddisfacendo il palato.

(Dicesi anche di due persone buone, ma che non vanno d’accordo)

> Mangia la ricotta e bevi il siero, per mantenere il corpo più leggero.

Ricotta e siero: due cibi che si digeriscono bene.

> Vino di cantina, acqua di sorgente.

Per essere buoni, il vino deve provenire dalla cantina, l’acqua dalla sorgente.

> L’acqua fa male, lo vino fa cantàne.

L’acqua fa male, il vino fa cantare.

Ecco una chiara preferenza per il vino, che tiene allegri.

> Chi si limita ai cibi sani, non si rovina con le sue mani.

> Cibo troppo raffinato, vizia il gusto del palato.

> Il dolce con l’amaro mescolato, rende talvolta un cibo ancor più grato.

> Lo pane cottu sta vène ‘nto la mattera e ‘nto lu corpu.

Il pane cotto sta bene dentro la madia e dentro il corpo.

Il pane cotto a puntino si conserva bene e si digerisce facilmente.

> ‘Na mela al giorno, lèa lu medicu da torno.

Una mela al giorno, allontana il medico.

> La robba che se magna de gustu nun fa mae male.

Il cibo che si mangia di gusto non fa mai male.

È una regola: ciò che piace ai sensi viene digerito bene.

> L’appetito vien mangiando.

Un buon cibo, sveglia l’appetito.

> Uovo di un’ora, pane di un giorno, vino di un anno, non fecero mai danno.

Ogni cibo, per essere buono, ha un suo momento ottimale per esser consumato.

> Pane de ‘n gnornu, vino de ‘n’anno.

Pane di un giorno, vino di un anno.

> ‘Na magnata de pulenta e ‘na biùta d’acqua, arza la cossa e la pulenta scappa.

Una mangiata di polenta ed una bevuta d’acqua: alza una coscia e la polenta esce.

Polenta ed acqua: poco nutrimento e qualche inconveniente di digestione.

> Lo magnà bbonu smòe le ganasse e fa ‘ngrassà.

Il buon mangiare muove le guance e fa ingrassare.

> Nu’ mmagnà li faciòli, sinnò ‘sta notte te metto la capoccia sotto la cuperta e te fo fa’ li ricci!

Non mangiare i fagioli, altrimenti questa notte ti metto la testa sotto la coperta e ti faccio fare i ricci ai capelli!

È nota la proprietà dei fagioli, sviluppano gas!

> È più bbonu de lo pane!

È più buono del pane! Dicesi di persona veramente buona.

> Li sèlleri de Trevi, lu pèrzicu de Paignu, li cituruni de Fulignu.

Tre cose sono buone: i sedani di Trevi, le pesche di Papigno, i cetrioli di Foligno (oppure i gobbi di Foligno).

> Fulignati magnalumache.

I folignati sono ghiotti di lumache

> Quanno l’oste sta su la porta, lo vino nun è vonu.

Quando l’oste sta sulla porta del suo negozio (quindi non è impegnato nella mescita), è segno che il vino non è buono.

> Frigghje lo pesce e varda lu gattu.

Friggere il pesce e guardare il gatto.

* > Le cécere e le fae sforarìono anche li trai.

Le cicerchie e le fave hanno un germoglio molto forte perciò bucherebbero anche le travi)

(Rapporto cibo- stagioni – feste)

> Pe’ l’Ascenzione, ogni femmina fa lo cargiòne.

Per l’Ascensione, ogni donna fa la rocciata.

> Non raccoglie né pane né mosto, chi pota di maggio e zappa d’agosto.

> Giugno dà caldo e sete, al contadino che miete.

> Per San Martino, ogni mosto diventa vino.

> Pe’ San Silvestru magna lu caùlu pe’ devozzione, e de ciccia ‘m bon boccone.

Per il giorno di San Silvestro mangia il cavolo per devozione, e di carne un buon boccone.

> Chi magna l’ùa lu primu dell’anno, manigghja li quatrini tutto l’anno.

Chi mangia l’uva il primo dell’anno, maneggia i soldi per l’anno intero.

> Pe’ settembre l’ùa è fatta e la fica pènne.

Per settembre uva e fichi sono maturi.

> Pe’ Santa Croce, pane vino e nnoce.

Per il giorno di Santa Croce, pane, vino e noci (si raccolgono le noci).

>San Giuseppe frittellaru, ‘gni purittu ne fa ‘n callaru.

Per il giorno di San Giuseppe si usa mangiare le frittelle, anche il piu povero ne fa un caldaio (molte).

FILASTROCCHE

Tirindella, tirindella,

sette pecore co’ ‘n’agnella,

si sse more lu pecoraru

lu cucimo su lu callaru,

si sse more la pecorèlla

la cucino su la padella,

si sse more l’agnelletta

la cucino su la paletta!

****

Na lèna nun fa focu

Due ne fò pocu,

tre fò ‘n focaréllu,

quattro ‘n focu bellu,

cinque ‘n focu da signore,

sèe ‘n focu da fattore.

****

Diosilla, diosilla,

ciò la trippa che stindìlla,

me stindìlla ess’à rajòne,

ché nn’ò fatto colazzione.

****

Dindolò de la catena,

dì a papà che veng’a ccena,

e si nun ce vò vvinì,

chiude la porta e làssulu ji!

****

Unu: ciò fame,

Dui: ‘n ci sta lo pane

Tre: come facémo?

Quattro: lu rubberemo!

Cinque: nicchi, nicchi …

Chi rubba s’impicchi!

****

Din dò, doman’è ffesta,

se magna la minestra,

la minestra nu’ mme piace,

se magna pane e bbrace,

la brace è troppo nera,

se magna pane e ppera,

la pera è troppo bianga,

se magna pane e panca,

la panca è troppo dura …

se va a lletto addirittura!

****

Mezzojorno!

Tutte le fémmene su ppe’ lu forno

Quanno sona l’Aémmaria,

tutte le fémmene scappono via!

****

La pigrizzia jétt’a lu mercatu

e ‘m bèllu càulu comprò;

mezz’jornu era sonatu

quann’a ccasa s’artornò:

ppicciò lu focu

cacciò l’acqua , pu ‘n tantucciu s’arpusò,

e intanto pocu a ppocu

anch’il zole tramontò.

****

Ciucca pelata

Magna la rapa

Beve lo vino

Spazzacamino!

****

Sega segola

Maria va a la scola

se porta lu canistrillu

co’ la pappa e lu cacìllu

lu cacìllu nun ce sta

e a la scola ‘n ce se va!

****

Vino vinello

te sì puro, io so’ bello

fattu tra li sargi

pistatu co’ li cargi

fattu co’ la zappa

accidenti a chi

cià missu l’acqua!

****

Tempo di Quaresima

Pe’ quarantasei jornate

nun se magnono frittate

Domennica a matina

na coscia de gallina,

n cuscittu de caprittu

e un’òu vinidittu.

****

Tirindella, tirindella

Sette pecore con un’agnella,

se muore il pecoraio

lo cuociamo sul caldaio,

se muore la pecorella

la cuociamo sulla padella,

se muore l’agnelletta

la cuociamo sulla paletta.

****

(Una legna) Un pezzo di legno non fa fuoco,

due ne fanno poco,

tre fanno un piccolo fuoco,

quattro un bel fuoco,

cinque un fuoco da persona ricca,

sei un fuoco da fattore.

****

Dies irae, dies irae”,

ho la pancia che oscilla,

mi oscilla essa ha ragione,

perché non ho fatto colazione.

****

Dindolò della catena,

dì a papà che venga a cena,

e se non ci vuol venire,

chiudi la porta e lascialo perdere!

****

Uno: ho fame,

Due: non c’è il pane,

Tre: come facciamo?

Quattro: lo ruberemo!

Cinque: nicchi, nicchi …

Chi ruba s’impicchi!

(Quando si diceva “nicchi nicchi” chi parlava prendeva per il naso la persona di fronte e glielo muoveva più volte a destra e sinistra)

****

Din, don, domani è festa,

si mangia la minestra,

la minestra non mi piace,

si mangia pane e braci,

le braci son troppo nere,

si mangia pane e pera,

la pera è troppo bianca,

si mangia pane e panca,

la panca è troppo dura …

si va a letto addirittura!

****

Mezzogiorno!

Tutte le donne attorno al forno

Quando suona l’Ave Maria,

tutte le donne scappano via!

****

La pigrizia andò al mercato

Ed un bel cavolo comprò;

mezzogiorno era suonato

quando a casa ritornò:

accese il fuoco

attinse l’acqua, poi un pochino si riposò,

ed intanto poco a poco

anche il sole tramontò.

****

Testa pelata

mangia la rapa

beve il vino

spazzacamino!

****

Sega seghetta

Maria va alla scuola

si porta il canestrino

con il pane ed il formaggio

il formaggio non c’è

e alla scuola non si va!

****

Vino vinello

tu sei puro, io son bello

maturato tra i salci (bigonce e cerchi di legno di salice)

pestato con i calci

fatto con la zappa (la vite si zappa)

accidenti a chi

ci ha messo l’acqua!

****

Tempo di Quaresima

Per quarantasei giorni

non si mangiano frittate

Domenica (Pasqua) mattina

una coscia di gallina,

un coscetto di capretto

ed un uovo benedetto.

****

La canzone di Tippe Tappe

Se-Tippe Tappe vinìsse a magnà a-ccasa tua, che je darìsti a-mmagnà?

Je darìo la minestra!

Ma si la minestra sirvisse pe’-ll’anima tua e Tippe Tappe vinìsse a magnà a casa tua, che je darìsti a magnà?

Je darìo a magnà li càuli!

Ma se li càuli servissero pe’-llanima tua e Tippe Tappe vinìsse a magnà a casa tua, che je darìsti a magnà?

Je darìo … (la filastrocca può durare a lungo cambiando l’oggetto da offrire).

Ninne nanne

Ninna nanna

core de mamma,

quanno te sveji

te dò ‘n coccò

la ciccina l’arporta papàne

fa la ninna fa la nanna!

****

Fa la ninna, core de mamma

tu la poccia no’ la vóli

tu non vóli lu pancuttillu

parla e-ddimme fiju mia,

tuttu quillu che tt’ò da fa’!

Ninna nanna,

cuore di mamma,

quando ti svegli

ti dò un uovo

la carne la porta a casa papà

fa la ninna fa la nanna!

****

Fa la ninna cuore di mamma

tu la mammella non la vuoi

tu non vuoi il pancotto

dimmi, dimmi, figlio mio,

tutto quello che t’ho da fare!

FESTE

6 gennaio – Festa della befana

I bambini aspettavano con ansia questo giorno perché erano certi che avrebbero avuto in dono una cosa “dolce”, prelibata, un frutto che non mangiavano mai durante l’anno: le arance (le merangole). E dove la zona non ne produceva, anche qualche castagna secca (le mosciarelle).

Carnevale

Le ragazze facevano dei piccoli dolci per l’occasione. Castagnole e frappe che offrivano un po’ a tutti, in particolare ai giovanotti intervenuti alla festa (lu fistìnu). Un mezzo per dimostrare le proprie capacità gastronomiche.

* Nelle domeniche di carnevale, in campagna, gruppi formati da giovani e anziani si mascheravano e andavano di casa in casa. Suonavano l’organetto a “passaggio” (a otto bassi), il cembalo (lu ciómmele) e ballavano il saltarello (lu sardaréllu) sull’aia. Le massaie come compenso offrivano uova, lardo, salsicce che un componente della comitiva infilzava sullo spiedo (lu spitone). Alla fine si offriva loro un bicchiere di vino che spesso veniva accompagnato da un brindisi. Il cantante (lu canterinu) si faceva riempire il bicchiere a metà e cantava: “’sto bicchjer de vino è-dde cristallo, dentro ce fosse anche ‘l moscatello, io me lo beverei freddo e-ccallo pe-ddà-ggusto e-ppiacere al mio cervello. IO me lo beverei con gran piacere, cara patrona arrempéteme ‘l bicchiere. Io me lo bevo co’ li labbri ‘sciutti, dico Gesù, Maria, viva tutti”.

* 3 febbraio – San Biagio

Il Santo è protettore contro il mal di gola. Di questo giorno si usava mangiare la carne (cosa rara allora!) perché la parte grassa contenuta nella carne ungesse la gola; difatti la Chiesa in alcuni momenti particolari della vita usa ungere il corpo del cristiano per irrobustirlo contro le forse del male. Molti anni fa, nelle parrocchie di città, il sacerdote accostava alla gola del cristiano due candeline legate a forma di croce da un fiocco rosso e pronunciava una invocazione al santo.

* 19 marzo – San Giuseppe

Alla vigilia di San Giuseppe i contadini usavano accendere fuochi (li focaracci) per invocare la benedizione del Santo sulle campagne.

Il piatto tradizionale per la festa di San Giuseppe sono le frittelle.

* Quaresima

Una volta durante la Quaresima l’astinenza dalle carni (la viggilia) veniva rispettata tutti i venerdì e i sabati e la carne poteva essere mangiata una sola volta nei giorni consentiti.

* Sabato Santo

Si benedivano le pizze dolci e di formaggio, il vino, il pane, le uova, il sale, il salame nelle chiese di campagna. Questi cibi servivano per la colazione di Pasqua.

Pasqua

La gente di montagna non conosceva le uova di cioccolato. Tuttavia, le mamme regalavano ugualmente un uovo ai propri bambini, anzi, più di uno: le uova sode. La preparazione era condotta dalle mamme e i bambini si divertivano ad eseguire le istruzioni.

Si ottenevano le uova sode dopo 10 minuti di cottura in acqua con l’aggiunta di un goccio di aceto acciocché il guscio non si rompesse durante l’ebollizione. Si lasciavano raffreddare, quindi si passava al piacevole lavoro della decorazione. I materiali erano semplici. Fuliggine del camino e cera della candela. Si inventavano i disegni più belli perché poi i bambini ne facevano sfoggio il giorno di Pasqua incontrandosi con i coetanei. Queste uova, non si riesce ad immaginare, pare che fossero dei piccoli capolavori. Ciascuno ammirava il disegno dell’altro. Poi correvano tutti su un prato tutto verde dove si divertivano nuovamente a farle ruzzolare.

Questo dono lungamente elaborato aveva vita breve, come si può facilmente immaginare. Non c’era che aspettare l’anno prossimo.

* Al mattino si mangia la pizza di Pasqua con uova lesse e salame. In alcune famiglie si mangiava anche la “corata d’agnéllu”.

* L’Ascensione

Gli spellani per ricordare l’Ascensione di Cristo al cielo salgono al Santuario della Spella (m. 970) posto sul Monte Subasio. (I folignati invece usavano andare all’abbazia di Sassovivo).

Le comitive partivano a piedi, di buon mattino per sentieri e scorciatoie. Arrivati in cima, dopo aver ascoltato la messa, si consumava la colazione (qualcuno aveva conservato la pizza fatta per il giorno di Pasqua). Alcune comitive continuavano la salita dei sette colli per arrivare fino a “Mortaro (m. 1241).

Nel giorno dell’Ascensione si raccomandava di non entrare nell’orto perché questo avrebbe causato un’invasine di bruchi (le ruche).

Festa della scartocciatura

Al tempo della scartocciatura, della sfogliatura delle pannocchie di granturco, si lavorava di sera in più persone. Come avveniva per la mietitura (trebbiatura), i vicini davano volentieri una mano. Anche i bambini partecipavano con un certo interesse, anche se cascavano dal sonno tenevano duro fino al termine del lavoro. Per tutti c’era un premio: una grossa fetta di pane con sopra del miele.

Il cibo come medicina

Acqua di cottura della cicoria: La cicoria, erba amarognola ma appetitosa, colta e largamente consumata dalla gente montanara anche per le sue proprietà diuretiche e lassative, era preziosa per l’organismo anche e soprattutto per l’utilizzo della sua acqua di cottura (senza sale).

Una volta bollita l’erba, si usava far decantare l’acqua, chiusa in una bottiglia di vetro, per l’intera notte posta fuori della finestra, sul davanzale, come si soleva dire, “alla serenata”. Per tre o quattro mattine se ne beveva un bicchiere a digiuno. Era amarissima. Si dice che fosse un ottimo rimedio per depurare il sangue, consigliata per le persone di una certa età. Ne facevano più uso gli uomini che le donne.

Olio di oliva: Raramente si ricorreva ai purganti. Quando necessitava, si prendeva a digiuno un cucchiaio di olio di oliva. Il risultato era efficace.

Acqua d’orzo abbrustolito: Prendeva anche il nome di caffè d’orzo. In un bricco si faceva bollire dell’acqua. Con apposito macinino si riduceva in polvere l’orzo abbrustolito il quale si aggiungeva all’acqua a bollore cessato, fuori dalla fonte di calore. La dose era di circa un cucchiaino per una tazza. Si rimetteva il recipiente sul fuoco facendo alzare di nuovo il bollore per tre volte. Si aggiungeva dell’acqua fredda, si lasciava posare qualche istante e si serviva facendo passare il liquido da un colino (lu passino). Si usava senza zucchero. Se c’era, con un po’ di miele, costituiva efficace rimedio contro disturbi di digestione. Ancora oggi è molto usato anche come prima colazione in aggiunta al latte.

Acqua di grano abbrustolito: Vi si ricorreva quando non c’era orzo in casa. Accadeva quasi sempre essendo quest’ultimo un cereale di lusso. Il procedimento era lo stesso che si usava per fare l’acqua o caffè d’orzo. Anche il risultato ottenuto era ugualmente efficace.

Prugne secche – acqua di cottura: Ottimo rimedio contro la stitichezza. Lo era e lo è tutt’ora. Si faceva bollire in sola acqua le prugne secche dell’estate. Si beveva tiepida alla sera dopo la cena. Naturalmente anche il solo frutto, sia allo stato fresco che essiccato, dava e dà buoni risultati.

Aglio: Il suo uso nel cibarsene era considerato efficacissima contro i vermi intestinali, un fastidio abbastanza diffuso nel passato.

Vino bollito con lo zucchero: Quando ci si accorgeva di avere un po’ di febbre si scongiurava questa per il giorno dopo, bevendo, ben caldi nel letto, un bicchiere di vino, preferibilmente rosso, con un po’ di zucchero se c’era o pezzetti di mela bolliti insieme. Doveva essere ben caldo.

Un rimedio che qualcuno usa ancora oggi. Ed ha un nome ben preciso: vino brulè.

Si prepara con vari ingredienti, secondo i gusti. I principali sono oggi: buccia di arancia, fettine di mele, zucchero, un pezzetto di cannella, chiodi di garofano e quant’altro si voglia. Sempre partendo da vino rosso. È bevanda molto usata nei mesi invernali per prevenire raffreddori, ecc.

* Le prugne (li brugnulitti): d’inverno si facevano bollire e l’acqua si beveva come rimedio contro il raffreddore, la tosse e la stitichezza.

* Per le scottature: si strofinava la cipolla, tagliata a metà, premendola sulla ferita, poi si applicava olio di oliva battuto in acqua.

* Per le battute (le brignoccole): per evitare il gonfiore, sulla parte contusa, si applicava il pane masticato.

* Per le ferite da taglio: Se succedeva di ferirsi mentre si era nel campo, si ricorreva subito al vino o all’aceto; poi si prendeva un ramoscello di olmo, si staccava la corteccia e dopo averla raschiata esternamente, si applicava la parte interna intorno alla ferita. Serviva da tampone per l’emorragia e per rimarginare la ferita che dopo due giorni era già cicatrizzata.

*Mal di pancia: Si beveva a digiuno l’infusione a freddo del seme di lino, lasciato in acqua per una note intera fuori dalla finestra (a la serenata). Si beveva anche il miele diluito in acqua calda.

* Punture d’insetti: Si curava con il crespino (lu crispignu): pianta erbacea, annuale, commestibile; si adoperava schiacciandolo con due pietre vive e si applicava strofinandolo su eventuali punture d’insetti o di altri animaletti.

* Screpolature delle mani: Si prendeva un pezzetto di cera d’api; si faceva fondere al fuoco e vi si aggiungeva qualche goccia d’olio d’oliva; si versava in un guscio d’uovo e si lasciava freddare. Durante l’inverno si applicava alle parti malate.

IL CIBO: SOGNI, MAGIE, AMULETI

Pare che il cibo abbia sempre goduto di attenzioni particolari. Non soltanto nel suo impiego naturale quale è quello dell’alimentazione.

Molta gente, negli anni in questione, era schiava di superstizioni, soprattutto tra le classi popolari. In particolare le donne erano affette da pregiudizi che, come accadeva per altri principi ben radicati, trasmettevano da madre in figlia.

Oggi, le superstizioni stanno perdendo terreno un po’ ovunque. Almeno così sembra. Anche le popolazioni che vivono lontano dalla città e che una volta vi erano più attaccate, come il contado e la montagna, ne stanno uscendo egregiamente. Forse, qualche pratica è tutt’ora seguita, ma con un certo scetticismo. La gente ne parla ancora ma, raccontando, ci ride o sorride un po’ sopra.

Carni: il sognarle era senz’altro butto presagio di disgrazie in famiglia, come morti o malattie.

Pollo: sognare di togliere a questo le penne era altro brutto presagio. Era segno di pene prossime nella famiglia.

Pesce: il pesce era il benvenuto, portava buone nuove, come, ad esempio, l’arrivo prossimo di una persona cara lontana da tempo. Forse qualche emigrato.

Uva: se bianca si avrebbe avuto a disposizione più denaro entro breve. Se era nera, le cose si ingarbugliavano un po’. Sembra che si dovesse cercare di risparmiare il denaro posseduto.

Acqua, grano, olio: sembra fossero gli ingredienti necessari per allontanare il “malocchio”, un maleficio che la persona addetta ai lavori, “la fattucchiera”, portava via dalla persona che, si presumeva, ne fosse colpita.

Con l’ausilio di un piatto con dentro dell’acqua, tre chicchi di grano di frumento, tre gocce d’olio. Il rivelare “il malocchio” pare fosse toccato al povero olio incitato da alcune parole magiche. Il suo compito era quello di spandersi sull’acqua fino a disegnare un vero e proprio occhio se la persona era effettivamente colpita da maleficio. Se invece non lo era, l’olio se ne restava buono, fermo, raccolto sulla superficie dell’acqua.

Aglio: contro il “malocchio”. Sembra che questa pianta riesca ancora ad attirare la sua attenzione in proposito. Non è raro il caso di vedere ancora oggi mazzetti di capi di aglio, magari abbelliti con un nastrino rosso, esposti all’interno di una porta o di una finestra. Sembra proprio per allontanare il “malocchio”.

– Per evitare il pizzico delle vipere. Sempre per quanto riguarda la pianta dell’aglio, si racconta che le mamme infilassero di nascosto spicchi di aglio nelle tasche del vestiario dei propri figlioletti quando andavano a guidare il gregge al pascolo, affinché le vipere non si avvicinassero.

– Per scongiurare il raffreddore. L’uso era sempre lo stesso. Spicchi di aglio in tasca. Questa, però, con l’obbligo di annusarlo spesso.

– Come rimedio contro i vermi dei bambini. Si costringevano questi (poverini!) a portare una collana di spicchi di aglio al collo, fino a quando i vermi non erano spariti. Pare ci andassero anche a scuola, con questa collana.

Patata secca: portata in tasca, contro i dolori reumatici.

Noccioli di ciliegia: sempre portati con sé, in tasca, contro mali agli occhi.

Chicchi di orzo: sempre in tasca, racchiusi in una pezzuolina, contro il mal di cuore.

RITI E CREDENZE

Le persone più anziane li praticavano scrupolosamente. Non si sa se lo facessero per devozione o per tema di poteri occulti che potessero nuocere. Un misto, forse, di sacro e profano.

Segno di croce: oltre al suono delle campane annuncianti l’Angelus, esso veniva ripetuto in altri vari momenti della giornata. Nella conservazione, preparazione e consumo di cibo.

Per la conservazione del cibo: a protezione delle colture veniva posa una croce al centro del campo fatta con due legni (rami grossi di pianta) incrociati e legati con delle stoppie.

Durante la preparazione del cibo: come, ad esempio, avveniva per il pane. Si segnava con la croce la pasta del lievito riposta nella madia per la successiva preparazione del pane. Si segnavano i filoni ben sistemati l’uno accanto all’altro sopra il capestio ricoperto dal mantile, un telo lungo e candido che serviva anche a separarli leggermente ed infine a coprirli per la lievitazione.

Quando faceva troppo freddo si metteva sopra al mantile anche una coperta. Altro segno di croce veniva ripetuto quando il pane era stato completamente infornato con una pala di legno (l’anfornatoja). Era con questa che si segnava lo sportello del forno una volta chiuso.

Viene spontanea una domanda su questi tre segni di croce. Se significavano un ringraziamento al Padreterno per quanto da Esso veniva fornito, la cosiddetta “grazia di Dio”, oppure una preghiera acciocché quel lavoro, costato tanta fatica, fosse ben riuscito.

Prima del consumo di cibo: a tavola, prima d’iniziare il pasto serale che riuniva tutta la famiglia, erano sempre i più anziani che si segnavano per primi, quasi a dare l’esempio. I più giovani erano un po’ titubanti, quasi si vergognassero di quel gesto che essi sostituivano, forse, con un proprio pensiero riservatissimo di gratitudine. Se qualcuno non si segnava, era, forse, perché riteneva giusto mangiare un pezzo di pane faticosamente ottenuto senza dover ringraziare altri che le proprie forze.

Era consuetudine, il Sabato Santo, portare a benedire in chiesa il cibo destinato alla colazione del giorno di Pasqua. Solitamente era costituito da vino, pane, uova sode e un salametto. Tutto bene sistemato dentro un canestro che veniva coperto, dopo la benedizione, con una salvietta candida o con il solito fazzolettone di cotone blu a quadri. Il cibo veniva portato a benedire anche dentro al solo fazzolettone ben annodato all’estremità.

Pane: si riservavano ad esso molte attenzioni. Un devoto rispetto. I filoni non si dovevano lasciare mai rovesciati ma sempre rivolti dalla parte segnata dalla croce al momento della loro lievitazione. Se un pezzo di pane cadeva per caso in terra, gli anziani raccomandavano di raccoglierlo in fretta e dare a questo un bacio. Forse in segno di scusa per quanto involontariamente accaduto. Le briciole del pane rimaste di un pasto non si doveva né gettarle nella spazzatura, né, tantomeno, dalla finestra, ma andavano fatte bruciare nel focolare. Il filone del pane ancora caldo non andava tagliato con il coltello, ma lo si doveva spezzare con le mani.

SUPERSTIZIONI VARIE

Minestra o altro cibo: quando raramente accadeva a qualcuno della famiglia di dire di un certo cibo che era “cattivo”, come, per esempio, di una minestra troppo salata, subito l’altro aggiungeva: “salvando la grazia di Dio”.

Avanzi di cibo: si diceva ai bambini che “era peccato” lasciare del cibo nel piatto anche se in minimissima quantità, e si aggiungeva che avrebbe pianto la Madonna se non si fosse mangiato tutto. Questo era il discorso delle nonne, principalmente. Nominando la Madonna, forse si voleva significare la presenza umile e laboriosa della mamma che preparava i pasti con amore. Anche per questo lavoro, la donna era molto apprezzata. Non per niente veniva chiamata “Angelo del focolare”. Si raccomandava anche di non lasciare avanzi nel piatto altrimenti alla persona che lo faceva sarebbe andato via l’appetito in seguito.

Tavola apparecchiata: di giorno si poteva anche tranquillamente lasciare. Di sera sembra che non fosse consigliabile in quanto poi, la notte, ci avrebbero mangiato le streghe, oppure ci avrebbe ballato sopra il diavolo. Se si versava del sale o dell’olio sulla tovaglia pare che “portassero male”, era, cioè, di brutto auspicio per la famiglia. Se si versava invece del vino era “segno di allegria”. Si è tenuti a credere che questi inconvenienti dispiacessero senz’altro alla massaia che doveva poi provvedere a lavare la biancheria. Altra faccenda domestica assai faticosa.